

Non posso non parlarne.
Vuoi perchè il Merisi è uno dei miei pittori prediletti, vuoi perchè ho appena detto una banalità, perchè sarebbe più corretto dire che si sente la necessità, l'urgenza di scrivere e l'impossibilità di tacere quello che riesce a smuovere un artista tanto geniale eppure così profondamente umano, intriso dalla povertà e dalla durezza della vita, crudo e appassionato, trafitto dalla bellezza della sua stessa arte.
La mostra allestita alla Pinacoteca di Brera a Milano ha in oggetto quattro sue tele: le due versioni della Cena in Emmaus (1601 la prima, conservata alla National Gallery di Londra e 1606 la seconda, della Pinacoteca per l'appunto), il Ragazzo con il canestro di frutta (Metropolitan Museum di New York) e il Concerto (Galleria Borghese di Roma).
Con appena 15 minuti a disposizione (una violenza per me, che passo minimo minimo quasi due ore per una comune mostra di poche sale) la scelta è stata immediata e decisa: dedicarsi unicamente alle due Cene, messe per la prima volta (straordinaria concessione per la celebrazione del bicentenario della Pinacoteca) l'una accanto all'altra, leggermente convergenti, come su due pagine di un libro aperto.
E' stata un'esperienza toccante, commovente quasi fino alle lacrime: in soli cinque anni Michelangelo Merisi ha conosciuto uno sconvolgimento d'animo assai profondo; se nella Cena di Londra Cristo è luminoso e roseo, pacato commensale ad una tavola ricca, nella Cena di Brera è quanto di più spento, stanco e sofferto si possa pensare. Quanto di più umano, provato e segnato, eppure presente, vivo e riferimento per quella poca e povera gente che è intorno a lui e ha di fonte a sè un solo pezzo di pane secco.
E' livido in volto, le vesti pendono sporche e lacere da un corpo magro eppur segno terreno di una volontà superiore.
Quindici minuti di un'intensità che rischia di sovrastare.
E allora si che è dolce naufragare.